HIDE 1 – METEOROLOGIA DELLE OMBRE

Là dove lo spazio ‘accade’ in una massa di relazioni, i luoghi sono come ‘cera’; sembra si possano scrivere uno sopra l’altro e poi cancellare. Nel palinsesto di questa rasura continua – ‘anattā-anicca’ d’Oriente – giace un paese minerale, desertico, scrostato: la nostalgia è quel paese dalla luce implacabile… spazi percepiti per vedere nell’invisibile, sentire nell’impercettibile, lungo i meridiani delle ombre corte del mezzogiorno, fino al nadir di un tramonto al contrario. Non c’è un ‘oltre’ nel visibile: piuttosto una scissura nello spazio, una ‘Carta del Tenero’ come quella di Madéleine de Scudéry.
‘Hide’ è lo ‘spavento’ di fronte a questa scissura; un ‘horribile visu’ virgiliano. Il pianeta della ‘melancholia’ minaccia questo sguardo mentre i paesaggi vibrano d’intensità nel loro crinale di transizione. Non in verità immagini mentali, piuttosto immagini-per-sé o non-fenomeni ‘omogeneizzati’. Come una matematica ottica, dove attraversiamo paesaggi di cieli e neve, di iceberg e fiori… tutte le geografie della cenere messe insieme…
Canaletto dipingeva similmente il brulicare delle planimetrie: un insieme finito ma senza bordi, in cui i sottoinsiemi eccedono l’insieme stesso e le ordinate intensive delle forme si coordinano con le ascisse estensive della velocità.
Peraltro così, la storia è inseparabile dalla Terra. E la Terra è essenzialmente ‘nostalgia’.
Se in qualche modo la creazione di un’immagine connota solo se stessa, nella prassi del ‘separare’, indipendentemente dalla sua referenza o dalla sua astrazione, allora questa ‘matrice’ – pur denotando lo spazio – innesca in esso un’apertura, una ‘lichtung’ heideggeriana.
Il ‘separato’ non diventa ‘parte’ ma rimane ‘zona’, spazio di transitorietà, più ancora che di transizione, scivolamento fluidificato: non è il fasmide che si confonde con lo sfondo; è lo sfondo che diventa invisibile nel fasmide: il fasmide è lo sfondo.
Quello che abbiamo perso è la solitudine… la solitudine dello spazio…
Un ‘altro’ spazio adiacente allo spazio convenzionale. Una sua metonimia, che trasla, deflette, sposta, talvolta rimuove. Non è più quindi lo spazio divenuto tangibile, oggetto di ispezione, di tracciatura, di segmentazione (così come la coscienza trascendentale occidentale lo ha modellato). Piuttosto l’’aptico’ sopravviene nel suo manifestarsi; un ‘toccare’ plastico in cui nessuna rivelazione decifra i criptogrammi: la σκηνή della Natura posa mobile, inafferrabile. Poiché nemmeno i geroglifici in fondo sono i depositari dell’inconoscibilità del mondo.
Abitare la ‘Waste Land’ postmoderna – nel film – significa vivere in quel territorio che si configura come ‘boundlessness’.
La de-metaforizzazione dello spazio viene peraltro avanti dall’immagine e dal suono. Questi esistono come raschiamenti di vibrazioni che filano l’uno dall’altra, avanti e indietro. La traccia ‘ustoria’ della neve, ad esempio, è un plurale di ritratti, un ‘capitale’ in polvere; nella singola focalizzazione di una lente sfarfalla il silenzio molteplice.
Ogni particella è soggetta alla gravità: e in questo ‘clinamen’ lucreziano s’involano dissolvimenti. Un ètere di rumore disperso e ieratico; smeriglio di testualità apocrife, di codici instabili.
‘Hide – 1 – Meteorologia delle ombre’ è un film-topologia, nel quale – da un ‘cut-up’ di frammenti non riunificabili – discende la legge della gravitazione universale, rastremata da un popolo di suoni: il ‘bruissement de la vapeur’ che Flaubert colloca all’inizio de ‘L’éducation sentimentale’.
Rilke nell’ottava delle ‘Elegie duinesi’ sostiene che la dannazione dell’uomo sorga dalle forme trascendentali kantiane: il ‘gegenüber’ – lo stare-fronte al mondo -. Tuttavia l’occhio-elettronico-meccanico della mdp e la capsula del microfono – messi insieme in questo cinema-sonorizzato – potrebbero sfrangiare tale ‘gegenüber’. Vi è infatti un’assenza di ‘presa-centrale’ del microfono rispetto alla mdp – che imprime una dissociazione tra il punto-di-vista ‘oggettivo’ dell’occhio e quello ‘soggettivo’ dell’ascolto -. Dunque è un co-ascolto, una serialità di fantasmi sensoriali del bordone cardinale, un chiaroscuro sonoro che si arrocca qui. Il Reno di Wagner o il finale del ‘Moby Dick’ di Melville, quando l’oceano rolla come all’inizio dei tempi. L’ascolto restituito al mondo; nel palinsesto del mondo. Il film restituito allo ‘spazio’ come molecolarità di un ascolto, in cui siamo infine persi.

Full Tech Specs

Ludione Productions 2020-2021

4K2D
Color, Sound
Runtime: 23’44”
Aspect Ratio: 2,66:1
Camera and Lenses – BMPCC4K, Kowa 16H Anamorphic
Codex – BlackMagic RAW (2.8K)
Cinematography Process – BlackMagic RAW (2.8K)
Anamorphic Source (Kowa Anamorphic Aperture x2)
Da Vinci Resolve 17 Finishing System – HDR Wide Gamut Color Space
23.976fps original timeline
Printed Film Format – D-Cinema

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